brevi racconti che, come pezzi di vetro, filtrano la realtà come capita di vederla attraverso trasparenze sovrapposte.

martedì 6 marzo 2012

Nino sulla metro

Assorta nei suoi pensieri, attraversò le porte del vagone come se stesse saltando via in cerca di salvezza. Da cosa, poi, non lo sapeva neanche lei. Si introdusse velocemente, in ogni caso, e si mescolò con l’umanità che affollava la metro a quell’ora, respirandone con sollievo la muta indifferenza. Un’ombra riflessa nei finestrini sporchi, una giacca rossa che sapeva di vento e salsedine spiccava tra i colori spenti e anonimi generali. Lo sguardo intercettò con un certo timore i propri occhi, aveva appena smesso di piangere e salendo ancora, quei capelli, non aveva avuto il tempo di sistemarli e non li voleva vedere. La folla di piedi riempì lo spazio visivo in un attimo.
Lui salì alla fermata successiva e si preparò con molta cura, attento a non farsi notare. Infatti, lei non lo vide, tutta presa com’era dall’analisi tipologica di piedi e scarpe a campione attorno alle sue: ballerine, mocassini, sandali alla schiava, tacco dodici, sneakers, stivali da cavallerizza, francescane, stringate inglesi, tante gemme e metalli luccicanti, camperos accanto a decolletè, scarpe consumate e impolverate, piedi curati con unghie laccate a colori sgargianti, piedi stanchi infagottati in improbabili calzettoni spugna, declinazioni fantasiose di espadrillas. Guardando solo le scarpe, azzardava ipotesi su chi le abitasse.
Dalla custodia sulle spalle lui estrasse la sua chitarra, il plettro, un respiro e poi attaccò.
Sole sul tetto dei palazzi in costruzione, sole che batte sul campo di pallone e terra e polvere che tira vento e poi magari piove.
L’accordo e le parole le trafissero i muscoli dell’addome prima che lei se ne rendesse conto, le
mancò per un attimo il pavimento del treno sotto i piedi e pensò alla velocità, ipotizzò di non star bene. In un respiro alzò lo sguardo e si ritrovò sulla pista bianca al tramonto invernale, con le gambe nude pronte per attaccare la curva in corsa sulle ruote. Il cuore a mille, il respiro usciva a nuvolette ritmiche di vapore caldo e rientrava in aghi pungenti nelle narici. Era solo lei, si ascoltava nel ritmo del respiro, del battito e della velocità che scorreva sotto ai suoi piedi come un carrello industriale su binari di pietra.
Nino cammina che sembra un uomo, con le scarpette di gomma dura, dodici anni e il cuore pieno di paura.
Le sembrò come se uno, tra la folla, all’improvviso l’avesse chiamata per nome. Si voltò,lo cercò con lo sguardo e non dovette faticare molto, era a due passi da lei. Lui non guardava nessuno.
Suonava e cantava. Da Dio. E lei riprese a correre sui pattini in cerca del momento giusto per farlo.
Adesso, sulla pista erano loro due. L’aveva sentito prima di vederlo, si era girata per essere certa che lui fosse lì davvero. E lui c’era, anche se era al bordo e con lo sguardo acceso solo sulle proprie dita.
Ma Nino non aver paura a sbagliare un calcio di rigore, non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore, un giocatore lo vedi dal coraggio, dall'altruismo e dalla fantasia.
Lo sentì forte dentro, Nino, che quasi perse i sensi. Una riga si formò lungo la guancia, mentre senza accorgersene cantava, sottovoce. Eccola, un’altra riga di poco discosta e un sorriso appena accennato che si apriva sempre più, bello. Usciva. Finalmente usciva Nino, finalmente l’aveva ritrovato. Le lacrime erano tagli freddi che il vento accendeva, sentiva le gocce staccarsi perfettamente dalla curva delle guance per partire in raggi diagonali e colpire quello che incontravano nella traiettoria, spalle, collo, petto, pista. La corsa, sincopata, regolare e crescente
nella potenza la riempiva di cuore e di vita. Le veniva di cantare a squarciagola per invitare il flusso bianco a raggiungerla. Cantavano all’unisono senza conoscersi, le parole venivano da sole, gli occhi attaccati a lui, sguardobasso & vocedadio, che restava lì a bordo pista a regalarle quello spettacolo e a chiamarla come un incantatore di serpenti. Al terzo giro, passandogli accanto in corsa finalmente si decise a giocare e lo provocò per vedere se lui era lì con lei.
Superandolo, si voltò e per guardare meglio la reazione prese l’andatura di spalle, fu un leggero sfasamento tra accordi e voce, il suo, accompagnato da un rapido cambio di posizione, ma lo sguardo non lo alzò, imperterrito. Lei, con la sua andatura sciolta all’indietro, sorrise e col suo sguardo veloce riprese la corsa verso il punto giusto.
E chissà quanti ne hai visti e quanti ne vedrai di giocatori che non hanno vinto mai ed hanno appeso le scarpe a qualche tipo di muro e adesso ridono dentro a un bar, e sono innamorati da dieci anni con una donna che non hanno amato mai. Chissà quanti ne hai veduti, chissà quanti ne vedrai.
Le parole le entrarono dentro e trovarono uno spazio per fluire insieme ai suoi pensieri. Si presero per mano e danzarono con ricordi, immagini e sospiri. In un lampo di lucidità, ecco la zip che chiude i pattini nel borsone di pelle, lei che lo infila nello stanzino buio, sotto cappotti, tra scatoloni. Eccola la donna di cui sei innamorata e che non hai amato mai, pensò. Eccola qui, Nino.
Apri quello stanzino, ADESSO!
Nino capì fin dal primo momento, l'allenatore sembrava contento e allora mise il cuore dentro alle scarpe e corse più veloce del vento. Prese un pallone che sembrava stregato, accanto al piede rimaneva incollato, entrò nell'area, tirò senza guardare ed il portiere lo fece passare.
Aveva cantato, possibile? Lo aveva fatto, senza remore. Senza vergogna. A voce alta. La potenza della strofa era contagiosa, il crescendo e la rincorsa di note e calcio era trascinante. Lo sforzo, nel momento del puntare e staccare, aveva trasformato da potenza cinetica in forza centrifuga la sua gamba che aveva guidato, perfettamente allineata, l’apertura e la rotazione del suo corpo per due
volte nell’aria. Richiudendosi in volo e poi riaprendosi nell’atterraggio di spalle, la gamba, ortogonale all’altra, perfettamente tesa controvento, fendeva l’aria come una polena, indicando la direzione. L’arco della schiena raggiungeva l’apice della sua grazia con un sensuale gesto femminile, completato dal volteggio delle braccia. Un lungo brivido saliva dalla punta delle dita lungo la spalla, raggiungendole la nuca. Se tu fossi stato lì, presente in quell’assolo, avresti visto il sorriso più bello del mondo. Ma lì c’era solo sguardobasso & vocedadio e lei chiuse il numero in
corsa, come se non si fosse mai interrotta, come avesse semplicemente fatto un ghirigoro gioioso nella luce. Adesso erano stati i suoi di occhi ad essere rivolti dentro, a non guardare altro che se stessa e la bellezza della sua figura come fosse un’ombra fluida creata per quell’unico gesto.
….Il ragazzo si farà, anche se ha le spalle strette, questo altro anno giocherà con la maglia numero sette.
Guardò con attenzione quello che sembrava un sacchetto per le offerte, appeso lì alla chitarra..mentre gli accordi accompagnavano il giro inquieto dei suoi dubbi. Possibile che il palco fosse un vagone e il compenso una elemosina? Il pubblico era tutto rivolto a lui, non più indifferente, né trasparente o omogeneamente grigio, attonito per la grazia di un’esecuzione da teatro.
Un applauso ruppe il silenzio, ognuno con lo sguardo a cercare gli occhi degli altri per sentirsi reali, coinvolti, per scambiare l’emozione di aver preso parte allo spettacolo. Un vagone intero e compatto, non più una accozzaglia di scarpe consumate. Lei prese delle monete e lasciandole scivolare lo guardò dicendogli “sei bravo. mi hai emozionato”, lui la guardò velocemente e ringraziò in maniera discreta mentre ritirava il contributo offerto dal suo pubblico.
Lei rimase di sasso, non riusciva a staccargli gli occhi di dosso. Quante fermate erano passate?
Aveva perso cognizione di sé col tempo, mentre era totalmente rapita da lui. Un angelo? Ringraziò la vita per sorprenderla nei momenti più impensati. E lui attaccò “isn’t she lovely?” con voce lieve, timida quasi. Non la guardò, non alzò lo sguardo mai. Al termine del bis, rimise la chitarra nella custodia ed infilò la porta, anonimo fra la folla, con calma, quasi a rendersi invisibile. Lei non lo mollò, le venne quasi un istinto di scendere e rincorrerlo. Si sentì una stupida. Una stupida a non raggiungerlo, ma pensò che era bello così.
Scese da quel treno che non fuggiva più. Il passo ora era deciso leggero, calmo e pieno di armonia.
Un sorriso illuminò quel volto rigato e un po’ sfatto e chi la incontrò sulla scala mobile non poté fare a meno di girarsi a riguardarla.

dedicato a sguardobasso & vocedadio, francè e cyborg che mi hanno fatto ricordare che Nino è ancora sulla metro. 

pensando a R.

Nessun commento:

Posta un commento