Caro Mario,
sono arrivata a Modica. Il viaggio è stato meno faticoso del
previsto, la nave per Catania comoda, il pullman che mi ha portata qui puntuale.
Ho condiviso il viaggio con persone che hanno arricchito la traversata di
storie, scambi, sorrisi. L’accoglienza della Sicilia non ha tardato a
mostrarsi, discreta e franca. E non mi ha colta impreparata: ho ritrovato un
sapore lontano, a me noto.
Eppure la luce era accecante, all’arrivo, e la città mi schiacciava
col suo deserto, dal lastrico delle vie ai volumi delle case arrampicate sulle
colline. Solo gli alberi verde scuro dei viali mi invitavano ad accomodarmi,
unici padroni di casa possibili, a quell’ora. Sotto le loro chiome potevo
persino azzardarmi a indugiare con lo sguardo intorno.
Sono vari giorni che giro, esploro un nuovo modo di entrare
in contatto con una realtà che sto visitando per la prima volta, che poi è il
tema del mio viaggio.
La realtà, come l’ho chiamata, ha una conformazione
particolare e il tessuto urbano sembra aver semplicemente aderito alla
morfologia del terreno, ricalcandone i connotati. Prima di partire e poi lungo
il viaggio, ho letto qualche notizia carpita alla rete. Ovviamente, lo
immaginerai, ero molto curiosa di incontrare il barocco siciliano: quante volte
ci avevo viaggiato con la fantasia, ai tempi degli studi. Ricordi le centinaia
di fotocopie delle facciate di chiese e palazzi da mandare a memoria per
l’esame di Simoncini? Passavamo pomeriggi estivi al tavolo cercando di
inventare una cantilena per fermare i caratteri, gli stili e le differenze.
Qualche sera fa abbiamo visitato il quartiere della
cartellonaria e lì, alla luce gialla dei lampioni che punteggiavano il
paesaggio al negativo, ho avuto una impressione diversa. Sarà stato il luogo o
il suggestivo racconto che mescolava diverse chiavi di lettura, la storia, la
poesia, il dialetto e gli aneddoti, scorci difficili da catturare con
l’obiettivo, non so. Mi è sembrato di andare sottopelle alla città, non
guardarla da fuori, ma da dentro. Dentro quelle grotte di calcare addomesticate in stalle, ricoveri,
case, tombe che in alto si leggevano con facilità, mentre si diradavano poi nascoste tra le case.
Mi aveva colpito, leggendo un po’ di storia
sull’insediamento urbano, il fatto che i due corsi principali ricalcassero,
coprendolo, il letto dei due fiumi che segnano il paesaggio, dividendolo in
quattro colli. Dal punto in cui sono alloggiata, risalgo la corrente ogni
mattina verso il centro e così, riflettendo fra me e me cercavo una chiave di
lettura idrica, sovrapponendo alla ragnatela di scalette e vicoli tortuosi una
immagine di piccoli torrenti che raggiungevano il fiume scendendo, un po’ come,
infatti, si era svolta quella passeggiata serale.
Il suggerimento della guida, poi, di raggiungere non dal basso, ma dall’alto, punti
nevralgici della città posizionati a mezza costa ,“fatevi portare sulla strada
di sopra e poi scendete”, diceva Ernesto, mi ha fatto pensare che i modicani
hanno metabolizzato, rubandolo, il corso naturale dell’acqua.
Ma un’altra cosa mi ha colpito assai. Visitando un versante
della città, sei continuamente affacciato sul quartiere opposto, come fossi al
balcone e guardassi il palazzo di fronte. Ora lo so, mi dirai che sono proprio
una turista cittadina che non si scosta dal proprio sguardo abituale e ti darei
ragione, ma il fatto è che quando viaggio porto anche quella parte di me che
usa quotidianamente un linguaggio
automatico in cui il paesaggio fa da sfondo . Qui mi devo adattare ad una nuova
andatura, qui tutto passa in primo piano, anche se ti confesso che spesso penso
che in quello che vedo c’è molto di me.
Modica in alcuni punti mi ha evocato il gesto di due mani
raccolte per bere sotto al getto di una fontana: due mani aperte verso il cielo
simmetricamente a formare una conca, a raccogliere. E così, seguendo il filo
dei miei pensieri e delle mie continue divagazioni, ho cominciato a risalire la
città, cercando il momento, la luce adatta per
poter catturare scorci e dettagli al massimo della loro espressione. In fondo
ho trasgredito al consiglio, volevo seguire la mia angolatura per capire la
loro, sfidando la mia forma fisica poco allenata (non sai che pendenze, qui..e
immagina col caldo, poi). Ho rimpianto tutti gli inviti mancati agli
allenamenti al parco e persino gli attrezzi in palestra.
Mi spiace andare via da Modica, Mario. Ho colto un legame
tra la natura del luogo e quella dei suoi abitanti. Hanno grande disponibilità
al dialogo, spesso la gentilezza con cui sono pronti a fermarsi per darti una
risposta diventa desiderio di lasciarti una storia, ma con l’elegante
discrezione tipica del siciliano. Un po’ come quelle tende che si poggiano alle
leggere balaustre dei palazzi signorili: indicano che gli scuri sono aperti e
ondeggiando proteggono il carattere intimo di chi vi abita.
Ti abbraccio forte
Claudia
P.S. Il barocco poi l’ho trovato. E sembra proprio come
l’avevamo studiato: le immagini delle chiese che dovevamo mandare a
memoria, spuntano dal paesaggio urbano
omogeneo e le puoi contare con il dito, specialmente la sera.
Che emozione tornare a leggere questa lettera, tornare a Modica con la mente, risentire quel caldo e pure il calore della gente. Tornare al momento preciso in cui scopri d'aver trovato nuovi amici.
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