brevi racconti che, come pezzi di vetro, filtrano la realtà come capita di vederla attraverso trasparenze sovrapposte.

sabato 10 marzo 2012

Da Modica a me


Caro Mario,
sono arrivata a Modica. Il viaggio è stato meno faticoso del previsto, la nave per Catania comoda, il pullman che mi ha portata qui puntuale. Ho condiviso il viaggio con persone che hanno arricchito la traversata di storie, scambi, sorrisi. L’accoglienza della Sicilia non ha tardato a mostrarsi, discreta e franca. E non mi ha colta impreparata: ho ritrovato un sapore lontano, a me noto.
Eppure la luce era accecante, all’arrivo, e la città mi schiacciava col suo deserto, dal lastrico delle vie ai volumi delle case arrampicate sulle colline. Solo gli alberi verde scuro dei viali mi invitavano ad accomodarmi, unici padroni di casa possibili, a quell’ora. Sotto le loro chiome potevo persino azzardarmi a indugiare con lo sguardo intorno.
Sono vari giorni che giro, esploro un nuovo modo di entrare in contatto con una realtà che sto visitando per la prima volta, che poi è il tema del mio viaggio.
La realtà, come l’ho chiamata, ha una conformazione particolare e il tessuto urbano sembra aver semplicemente aderito alla morfologia del terreno, ricalcandone i connotati. Prima di partire e poi lungo il viaggio, ho letto qualche notizia carpita alla rete. Ovviamente, lo immaginerai, ero molto curiosa di incontrare il barocco siciliano: quante volte ci avevo viaggiato con la fantasia, ai tempi degli studi. Ricordi le centinaia di fotocopie delle facciate di chiese e palazzi da mandare a memoria per l’esame di Simoncini? Passavamo pomeriggi estivi al tavolo cercando di inventare una cantilena per fermare i caratteri, gli stili e le differenze.
Qualche sera fa abbiamo visitato il quartiere della cartellonaria e lì, alla luce gialla dei lampioni che punteggiavano il paesaggio al negativo, ho avuto una impressione diversa. Sarà stato il luogo o il suggestivo racconto che mescolava diverse chiavi di lettura, la storia, la poesia, il dialetto e gli aneddoti, scorci difficili da catturare con l’obiettivo, non so. Mi è sembrato di andare sottopelle alla città, non guardarla da fuori, ma da dentro. Dentro quelle grotte  di calcare addomesticate in stalle, ricoveri, case, tombe che in alto si leggevano con facilità, mentre  si diradavano poi nascoste tra le case.
Mi aveva colpito, leggendo un po’ di storia sull’insediamento urbano, il fatto che i due corsi principali ricalcassero, coprendolo, il letto dei due fiumi che segnano il paesaggio, dividendolo in quattro colli. Dal punto in cui sono alloggiata, risalgo la corrente ogni mattina verso il centro e così, riflettendo fra me e me cercavo una chiave di lettura idrica, sovrapponendo alla ragnatela di scalette e vicoli tortuosi una immagine di piccoli torrenti che raggiungevano il fiume scendendo, un po’ come, infatti, si era svolta quella passeggiata serale.
Il suggerimento della guida, poi,  di raggiungere non dal basso, ma dall’alto, punti nevralgici della città posizionati a mezza costa ,“fatevi portare sulla strada di sopra e poi scendete”, diceva Ernesto, mi ha fatto pensare che i modicani hanno metabolizzato, rubandolo, il corso naturale dell’acqua.
Ma un’altra cosa mi ha colpito assai. Visitando un versante della città, sei continuamente affacciato sul quartiere opposto, come fossi al balcone e guardassi il palazzo di fronte. Ora lo so, mi dirai che sono proprio una turista cittadina che non si scosta dal proprio sguardo abituale e ti darei ragione, ma il fatto è che quando viaggio porto anche quella parte di me che usa quotidianamente  un linguaggio automatico in cui il paesaggio fa da sfondo . Qui mi devo adattare ad una nuova andatura, qui tutto passa in primo piano, anche se ti confesso che spesso penso che in quello che vedo c’è molto di me.
Modica in alcuni punti mi ha evocato il gesto di due mani raccolte per bere sotto al getto di una fontana: due mani aperte verso il cielo simmetricamente a formare una conca, a raccogliere. E così, seguendo il filo dei miei pensieri e delle mie continue divagazioni, ho cominciato a risalire la città, cercando il momento, la luce adatta  per poter catturare scorci e dettagli al massimo della loro espressione. In fondo ho trasgredito al consiglio, volevo seguire la mia angolatura per capire la loro, sfidando la mia forma fisica poco allenata (non sai che pendenze, qui..e immagina col caldo, poi). Ho rimpianto tutti gli inviti mancati agli allenamenti al parco e persino gli attrezzi in palestra.
Mi spiace andare via da Modica, Mario. Ho colto un legame tra la natura del luogo e quella dei suoi abitanti. Hanno grande disponibilità al dialogo, spesso la gentilezza con cui sono pronti a fermarsi per darti una risposta diventa desiderio di lasciarti una storia, ma con l’elegante discrezione tipica del siciliano. Un po’ come quelle tende che si poggiano alle leggere balaustre dei palazzi signorili: indicano che gli scuri sono aperti e ondeggiando proteggono il carattere intimo di chi vi abita.
Ti abbraccio forte
Claudia
P.S. Il barocco poi l’ho trovato. E sembra proprio come l’avevamo studiato: le immagini delle chiese che dovevamo mandare a memoria,  spuntano dal paesaggio urbano omogeneo e le puoi contare con il dito, specialmente la sera.



1 commento:

  1. Che emozione tornare a leggere questa lettera, tornare a Modica con la mente, risentire quel caldo e pure il calore della gente. Tornare al momento preciso in cui scopri d'aver trovato nuovi amici.

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