brevi racconti che, come pezzi di vetro, filtrano la realtà come capita di vederla attraverso trasparenze sovrapposte.

venerdì 11 maggio 2012

Onomastico posticipato per bene

BORONDO
Io e lei, una corsa col fiatone. La radio del personale dell'Auditorium gracchia, poi si sente l'applauso, cavolo siete già entrati. "Altri ritardatari" dice in radio, io e Mari corriamo, ma dietro di noi arrivano altre persone. Brutto arrivare in ritardo. Poi il buio e cercare le nostre poltrone, mentre tu già sei sul palco.
Tu sei tu. E io mi rilasso e piano piano volteggio al tuo delicato e dolce invito. Che meraviglia.
Lei mi ha regalato questa serata, con lei volevo condividere questa emozione di te. Ho insistito.
Il concerto è stato meraviglioso, come te del resto. Tu. I tuoi compagni di viaggio, maestri e amici, li hai definiti. E si toccava, la magia della vostra unione. I quadri che cambiano colore sulle tue parole.
Tu che dici "questa è la mia preferita" e dal pubblico varie voci "anche la mia" e tu riconosci la voce di uno di noi, un tuo piccolo amico e lo citi, sorridendo.
Ci scaldi e noi, il pubblico, ti restituiamo affetto e gioia. E tu, parti e interrompi una canzone, chiedendo scusa, per invitarci a cantare e leghi la platea che non è più separata dal palco: sembra di essere tra amici, non ad un concerto all'auditorium.
E questo è il tuo pregio, di legare attorno alla poesia, di farci danzare delicatamente con le tue note, la tua voce e gli accordi e di prendere per mano e condividere la tua essenza e rendere magico un momento.
"sei meraviglioso, Joe", te l'ho detto.






martedì 10 aprile 2012

a Miriam


Conquistare il successo senza trucchi né colpe
Corri, bambina, corri…, tu che hai buona la testa, le gambe e il cuore.
Corri senza rallentare davanti agli ostacoli, alla stanchezza, alla nostalgia (che pure talvolta ti coglie) del tempo della lentezza e della protezione.
Corri per arrivare dove avevi deciso, per soddisfare il tuo sogno e la tua ambizione. La modestia, la rinuncia alle proprie ambizioni, se pure riuscirono, segretamente, a nutrirle, fu il connotato delle donne delle generazioni che ti hanno preceduto, donne educate alla modestia e alla rassegnazione, a mettersi al servizio dell’ ambizione del maschio della famiglia, fosse il marito, il fratello, il figlio. Tu sei diversa, tu hai deciso di arrivare dove ti sei proposta.
Tra le donne che oggi hanno successo, molte portano nomi illustri. Hanno successo, dunque, per diritto ereditario. Tu non hai un nome illustre, né una famiglia importante alle spalle, ma hai buona la testa, le gambe e il cuore.
E hai diritto a correre, e ad arrivare prima se la corsa non sarà truccata.
Noi, della generazione che è venuta prima di te, una generazione che si è impegnata nella corsa, che spesso ha vinto, che più spesso ha perso, ti daremo una mano, se ce la chiederai. Ma tu devi sapere che hai diritto a una corsa non truccata, che hai diritto al successo.
Miriam Mafai
(dal blog se non ora quando)
foto dal web

sabato 31 marzo 2012

Vocabolario intimo


Le parole sono come la pellicola superficiale su un'acqua profonda.
Ludwig Wittgenstein (1889-1951)


Irene ha cominciato a perdere le parole, qualche tempo fa. Inciampava in un buco, un ostacolo, se ne accorgeva. Tornava indietro e guardava quel vuoto. Prima, non lo aveva neanche percepito e si rendeva conto della voragine esistente solo adesso, senza QUELLA parola. Non riusciva più a distogliere lo sguardo, mentre il percorso era interrotto, il tempo scorreva e lei si sentiva impotente. Cercava un sinonimo da piazzare lì a tappare quel buco, invece niente. Anche il sinonimo faceva sciopero e lei si doveva per forza sedere a terra e fermarsi davvero.
Di solito, ci aveva fatto caso, si trattava di una parola che descriveva esattamente una percezione che aveva intuito, rispetto ad una situazione, ad una persona, ad un ricordo. Quando però si trattava si dirla, ecco che la parola precisa non c'era più: da quello scaffale in cui era disposto il suo pensiero, mancava solo una parola, QUELLA parola, che rompeva la frase in due, un prima e un dopo senza l'anello che li congiungeva. E così prese a scrivere frasi con uno spazio bianco, riempì un diario di parole mancanti, che ogni tanto, all'improvviso, tirava di corsa fuori dalla borsa in preda ad un brivido febbrile..cercava la pagina, mica era facile, eccola eccola, dai, trovata! ..e zac, una parola rossa veniva aggiunta.
Era una strana sensazione, mentre pensava a tutt'altro, faceva tutt'altro, quella che provava Irene alla comparsa improvvisa e netta di QUELLA parola.
Come trovare una soluzione ad un rebus molto intimo. Era convinta che leggendole tutte in fila, disposte secondo un ordine che avrebbe potuto trovare solo lei, QUELLE parole avrebbero disegnato la sua geografia.
E leggerla lì, adesso, QUELLA parola, la faceva sentire presente, viva. La pronunciava e sentiva la sua lingua battere sui suoi denti, le sue labbra sfiorarsi, il respiro e le corde vocali dare una forma fisica ad un concetto che le era sfuggito per troppo tempo.
Un tassello era tornato sul percorso e lei poteva procedere nel suo cammino.


domenica 18 marzo 2012

La musica di oggi




“So, rumble young musicians, rumble. Open your ears and open your hearts. Don’t take yourselves too seriously and take yourselves as seriously as death itself. Don’t worry. Worry your ass off. Have confidence but doubt, it keeps you awake and alert” 

Bruce Springsteen 
South by SouthWest 
Austin 2012













sabato 17 marzo 2012

Prunus persica vulgaris


Ieri, al parco, il mio sguardo è stato catturato da un ramo di pesco, tra le dita di una ragazza. Ho seguito il suo percorso, da sinistra a destra e poi lontano, in una sorta di rapimento primaverile.
In Egitto la foglia di pesco simboleggia il silenzio, mentre in Giappone il pesco è venerato come protettore contro le forze malefiche e la sua fioritura è metafora di rinnovamento, rinascita e purezza.

Oggi lasagne.



sabato 10 marzo 2012

Da Modica a me


Caro Mario,
sono arrivata a Modica. Il viaggio è stato meno faticoso del previsto, la nave per Catania comoda, il pullman che mi ha portata qui puntuale. Ho condiviso il viaggio con persone che hanno arricchito la traversata di storie, scambi, sorrisi. L’accoglienza della Sicilia non ha tardato a mostrarsi, discreta e franca. E non mi ha colta impreparata: ho ritrovato un sapore lontano, a me noto.
Eppure la luce era accecante, all’arrivo, e la città mi schiacciava col suo deserto, dal lastrico delle vie ai volumi delle case arrampicate sulle colline. Solo gli alberi verde scuro dei viali mi invitavano ad accomodarmi, unici padroni di casa possibili, a quell’ora. Sotto le loro chiome potevo persino azzardarmi a indugiare con lo sguardo intorno.
Sono vari giorni che giro, esploro un nuovo modo di entrare in contatto con una realtà che sto visitando per la prima volta, che poi è il tema del mio viaggio.
La realtà, come l’ho chiamata, ha una conformazione particolare e il tessuto urbano sembra aver semplicemente aderito alla morfologia del terreno, ricalcandone i connotati. Prima di partire e poi lungo il viaggio, ho letto qualche notizia carpita alla rete. Ovviamente, lo immaginerai, ero molto curiosa di incontrare il barocco siciliano: quante volte ci avevo viaggiato con la fantasia, ai tempi degli studi. Ricordi le centinaia di fotocopie delle facciate di chiese e palazzi da mandare a memoria per l’esame di Simoncini? Passavamo pomeriggi estivi al tavolo cercando di inventare una cantilena per fermare i caratteri, gli stili e le differenze.
Qualche sera fa abbiamo visitato il quartiere della cartellonaria e lì, alla luce gialla dei lampioni che punteggiavano il paesaggio al negativo, ho avuto una impressione diversa. Sarà stato il luogo o il suggestivo racconto che mescolava diverse chiavi di lettura, la storia, la poesia, il dialetto e gli aneddoti, scorci difficili da catturare con l’obiettivo, non so. Mi è sembrato di andare sottopelle alla città, non guardarla da fuori, ma da dentro. Dentro quelle grotte  di calcare addomesticate in stalle, ricoveri, case, tombe che in alto si leggevano con facilità, mentre  si diradavano poi nascoste tra le case.
Mi aveva colpito, leggendo un po’ di storia sull’insediamento urbano, il fatto che i due corsi principali ricalcassero, coprendolo, il letto dei due fiumi che segnano il paesaggio, dividendolo in quattro colli. Dal punto in cui sono alloggiata, risalgo la corrente ogni mattina verso il centro e così, riflettendo fra me e me cercavo una chiave di lettura idrica, sovrapponendo alla ragnatela di scalette e vicoli tortuosi una immagine di piccoli torrenti che raggiungevano il fiume scendendo, un po’ come, infatti, si era svolta quella passeggiata serale.
Il suggerimento della guida, poi,  di raggiungere non dal basso, ma dall’alto, punti nevralgici della città posizionati a mezza costa ,“fatevi portare sulla strada di sopra e poi scendete”, diceva Ernesto, mi ha fatto pensare che i modicani hanno metabolizzato, rubandolo, il corso naturale dell’acqua.
Ma un’altra cosa mi ha colpito assai. Visitando un versante della città, sei continuamente affacciato sul quartiere opposto, come fossi al balcone e guardassi il palazzo di fronte. Ora lo so, mi dirai che sono proprio una turista cittadina che non si scosta dal proprio sguardo abituale e ti darei ragione, ma il fatto è che quando viaggio porto anche quella parte di me che usa quotidianamente  un linguaggio automatico in cui il paesaggio fa da sfondo . Qui mi devo adattare ad una nuova andatura, qui tutto passa in primo piano, anche se ti confesso che spesso penso che in quello che vedo c’è molto di me.
Modica in alcuni punti mi ha evocato il gesto di due mani raccolte per bere sotto al getto di una fontana: due mani aperte verso il cielo simmetricamente a formare una conca, a raccogliere. E così, seguendo il filo dei miei pensieri e delle mie continue divagazioni, ho cominciato a risalire la città, cercando il momento, la luce adatta  per poter catturare scorci e dettagli al massimo della loro espressione. In fondo ho trasgredito al consiglio, volevo seguire la mia angolatura per capire la loro, sfidando la mia forma fisica poco allenata (non sai che pendenze, qui..e immagina col caldo, poi). Ho rimpianto tutti gli inviti mancati agli allenamenti al parco e persino gli attrezzi in palestra.
Mi spiace andare via da Modica, Mario. Ho colto un legame tra la natura del luogo e quella dei suoi abitanti. Hanno grande disponibilità al dialogo, spesso la gentilezza con cui sono pronti a fermarsi per darti una risposta diventa desiderio di lasciarti una storia, ma con l’elegante discrezione tipica del siciliano. Un po’ come quelle tende che si poggiano alle leggere balaustre dei palazzi signorili: indicano che gli scuri sono aperti e ondeggiando proteggono il carattere intimo di chi vi abita.
Ti abbraccio forte
Claudia
P.S. Il barocco poi l’ho trovato. E sembra proprio come l’avevamo studiato: le immagini delle chiese che dovevamo mandare a memoria,  spuntano dal paesaggio urbano omogeneo e le puoi contare con il dito, specialmente la sera.



giovedì 8 marzo 2012