Dopo l’ultimo tornante superiamo il valico e finiscono le
fronde, la montagna di sassi è davanti a noi e il paese sembra essersi messo
in riga con tutte le case che ci guardano. Il mio gioco preferito è caccia alla
Torre: scorro col dito tutte le case sul finestrino, fino a lei, la rossa.
Comincia in una vertigine la discesa nella valle e sale l’eccitazione
dell’approssimarsi alla Rocca, la chiamiamo così da sempre nel nostro lessico
famigliare. Ogni curva, ogni albero, sasso, pezzo di prato, casetta diroccata, è
un numero del conto alla rovescia. La Rocca è un’abbreviazione del nome della
località, ma quando la pronunciamo evoca una carrellata di immagini dinamiche: la quercia che ondeggia, la salita assolata per il paese, le mosche
cavalline scacciate con le fronde, la casa in mattoni rossi, il giardino col pino, l’olmo, il fontanile,
Memeca, Pietruccio, il bosco, le rocce, le fettuccine con la salsa di pomodoro e il pecorino, gli scorpioni, i giochi,
le passeggiate polverose, l’odore del camino, le stagioni che cambiano, le cicale che cedono il posto ai grilli
quando le stelle fanno una gara di bellezza con le lucette dei paesi sulla
cerchia di monti intorno alla terrazza, la mentuccia sul bordo della strada, i
rovi di more e i graffi collezionati, il passo diverso, un accento casereccio e
amichevole.
Erano tre anni che mancavo. Sono scesa dalla Panda e ho
respirato l’aria dei settecento metri. Appena ha attraversato le mie narici, l’ho
riconosciuta prima ancora di aprirmi i polmoni in un vero respiro. Il profumo ruspante,
ricco di erbe e di salute, forte.
Entrare in casa e tornare bambina per un attimo, le scale di corsa e il fiatone.
Faccio un veloce inventario: la
mattonella scollata all’altezza della stufa a kerosene, la porta a vetri della
loggia che gracchia, la luce della scala di marmo che crepita, i passi sul terrazzo, il tintinnìo della
campanella, l’ululato nel lavandino di camera di mamma quando c’è tempesta, il
battere della pioggia contro i vetri del corridoio, il rumore dei rami
dell’olmo nel vento dell'imbrunire, la voce che rimbomba nei vuoti comunicanti degli ambienti, provo: "un, due, tre, STELLA!".
La nostalgia arriva a onde, dolce, monta incessante e porta ricordi, momenti di contemplazione e di vita, racconti immaginati che si mescolano a sogni. La Rocca mi ha allevata e scandito la mia esistenza, come potevo farne a meno? Pensavo di respingere il suo richiamo? Chiudere e pietrificare il mio cuore, poteva essere solo una soluzione temporanea, per paura del dolore. Forse semplicemente ora posso permettermi di sentire.
Nel pomeriggio, la passeggiata in paese, gli incontri. Mi si
riapre un libro impolverato dentro e si sovrappone in trasparenza al mio
presente. Non posso solo tornare indietro e ricordare, già si sta scrivendo la
pagina di una nuova infanzia alla Rocca. Senza che fosse minimamente previsto da me, Luca si è già inserito in questo posto. La vita è più veloce del mondo che ho dentro e come lo conoscesse in maniera innata, come fosse scritto dentro di lui anche se non gliene ho mai parlato, lui ha già sentito la magia e la Rocca adesso è sua.
Un gregge governato dal pastore in auto. Buffo. I bambini colgono le more con Riccardo. Fanno a gara a chi arriva primo per accaparrarsi il
gelato in cima alla salita. Sembra un deja vu.
Le rocce. Come avevo fatto a cancellare le rocce?
Riccardo e io ci guardiamo e all’unisono esclamiamo quanto
era bello arrampicarsi sulle rocce calde dell'imbrunire estivo per vedere i fuochi d’artificio, ogni settembre.
Finiva la nostra estate. Finiva con un crescendo di feste di piazza, sagre,
balli e musica. E i fuochi. Il cuore comincia a battermi forte, alzo la testa
in su, sento l’odore acre della polvere da sparo, fontane di luce colorata si
aprono in ombrelli e cade magica pioggia di stelle sui miei occhi.
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